È uno di quei eventi che aspetti con pazienza, senza fretta, perché sai che te lo vuoi godere tutto con calma dal primo all'ultimo secondo. Ti chiedi quanta energia ci sarà ancora nella musica di quei due ragazzi che hanno i minuti contati per devastarti come in un turbine con i loro suoni potenti. La lezione è una di quelle che ti resta a vagare nella testa prima di riuscire a digerirla. Completamente forse mai. Così ovvia subito, così foriera di dubbi poi. Vorresti portarteli a casa quei due musicisti e farti spiegare ogni segreto della loro magia ma devi accontentarti di fare solo una domanda se ne hai il coraggio. La musica è ancora una belva da domare, come una donna da capire. Pochi possono, nessuno sa. La lezione è in castellano ma non te ne accorgi, ti suona famigliare come la musica liberata dagli strumenti. Solo adesso però scopri quante insidie si nascondono tra quelle note, quante opportunità ci sono in quelle battute e quanta bellezza c'è nei tanghi se solo si potesse avere le orecchie buone per ascoltare. La via dal timpano al piede è lunga, ti passa per la materia grigia che come una metropoli convulsa espelle solo quello che le aggrada. Domani metto le cuffie e vado a caccia, voglio un frigidaire pieno di sincopi per quest'estate.
Dopo cena arrivano alla chetichella. Ma si vede subito che sono i musicanti. Non so perché a dire il vero ma i musici hanno qualcosa di diverso che li rende unici. Artisti per antonomasia, geniali o ciarlatani sono sempre con la testa tra le nuvole: aspettano solo di poter suonare. Il musicista è vivo quando suona, quando vibra e diffonde la musica per il resto del suo tempo vaga come il polline pronto a fecondare. Ecco, finalmente corolle e pistilli sono pronti: inizia la musica. Come stigmi appiccicosi ci protendiamo verso quelle note per carpirle e farle nostre. Prima lente e suadenti, poi rapide e intriganti: sono turbine che sconquassa, l'energia la puoi toccare, ti si spalma addosso, ti percuote, ti devasta, ti scuote. Sono solo in due, meno male. Se ce ne fossero ancora ne moriremmo.
Il giovane Naveira è uno di quelli che vuol far bene, e si vede. Balla con le sue gambe che per fortuna hanno ascoltato i consigli di chi aveva già ballato prima di lui. È cresciuto, cresciuto molto in quest'anno che è andato via. Si, andato via perché lui è nostro, lui qui si trova bene, lui qui è come a casa. Anche Naveira grande stava bene dalle nostre parti. A lezione nel teatro del Kulturni Dom gli sembrava di essere a Buenos Aires: stesso squallore. Primavera inoltrata: ancora festoni sui muri, ingialliti neon esausti illuminavano sul pavimento veneziano buchi e tacconi che sembravano proprio quelli porteñi. Ma eravamo appena all'inizio di secolo... Prende Inés, la guida, la porta, stanno diventando proprio bravi. Volano sulla musica dei Ranas sembrano gli uni fatti per gli altri. La musica dal vivo tende qualche trappola ma i due giovani ballerini non ci cadono. Spettacolo energetico, fa bene al tango! Li guardi, li ascolti e ti senti meglio, fa bene anche a te.
g.
Circolo Arci ZOO - Udine, 14 maggio 2011
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